‘L’ANTIFASCISMO NON SI PROCESSA’ – aperitivo benefit per le spese legali del collettivo Riscossa Catanzaro

Il 2 dicembre 2013 è iniziato un processo a carico di cinque compagni del collettivo Riscossa di Catanzaro per dei fatti risalenti al 30 ottobre 2010. In tale data, il collettivo Riscossa organizzò la presentazione di una rivista di contro-informazione nella propria sede. Al termine dell’iniziativa politica, mentre si preparava per la cena sociale, alcuni fascisti assaltarono la sede del collettivo e tentarono invano di entrarvi. Dopo essere stati messi in fuga dai compagni, i fascisti tornarono in numero maggiore per perpetrare una seconda aggressione, accoltellando un compagno con due fendenti alla schiena.

Subito dopo l’aggressione si assistette al solito copione della polizia che, col falso intento di fare chiarezza sui fatti, tentò di ribaltare la situazione: chi andò a trovare il compagno in ospedale venne identificato, vi furono interrogatori negli uffici della DIGOS, perquisizioni della sede e una denuncia per detenzione di arma bianca (cioè una piccola falce esposta nella biblioteca autogestita del collettivo).

Nei giorni successivi fu la macchina mediatica ad entrare in azione: dall’aggressione di stampo fascista si passò alla “rissa tra bande” e agli “opposti estremismi”.

Come se non bastasse aggressioni, minacce e atti intimidatori continuarono nel tempo.

I compagni che allora difesero la loro iniziativa e la loro sede sono oggi imputati dei reati di concorso in rissa e lesioni gravissime e plurime, rischiando fino a 16 anni di carcere.

Il nostro intento è quello di non lasciare isolato chi lotta ogni giorno e ridare una giusta lettura dei fatti. L’aggressione ai danni dei compagni di Catanzaro infatti, non è stata dovuta al caso: i compagni del Riscossa erano attivamente impegnati nelle lotte studentesche, in quelle per la difesa del territorio e a fianco dei lavoratori, cosa che dava dell’ evidente fastidio al monopolio delle organizzazioni fasciste presenti in città e ai poteri forti locali a loro affiliati.

Essere antifascisti significa innanzitutto avere la consapevolezza che fascismo e nazismo si sono storicamente determinati per contrastare le lotte che avanzavano rivendicazioni di classe, in modo tale da assecondare gli interessi del sistema socio-economico vigente che si è così preservato dalle spinte di emancipazione delle classi sociali subalterne. Fedeli conservatori del capitalismo, pronti ad attaccare il movimento dei lavoratori portando avanti istanze reazionarie, da sempre giocano sul concetto di nazionalità per definire lo sfruttamento, quando sempre più ci accorgiamo quanto lo scontro sia tra lavoratori che pagano la crisi e imprenditori che mirano ad accrescere i loro profitti, e questo in ogni paese. Essere antifascista e rivendicarsi il diritto di non lasciare nessuno spazio a retoriche e politiche fasciste significa dunque combattere un modello socio-economico basato su diseguaglianze e sfruttamento.

Dal canto nostro, come studenti, abbiamo già avuto a che fare con chi propone politiche fasciste: nei loro programmi dichiarano che vorrebbero più connessioni tra università e aziende andando perciò a legittimare il processo di aziendalizzazione dell’università, già drammaticamente contaminata da logiche estranee al sapere critico, sempre più assoggettata al profitto e riservata a pochi.

Dobbiamo a tutti i costi fare in modo che nei luoghi dove più si palesano le contraddizioni del sistema economico non si formino vuoti di contenuti e riflessioni, vuoti che il fascismo sa opportunamente colmare in senso reazionario.

Vogliamo dunque ricordare a tutti e tutte che il 17 Gennaio un’organizzazione neofascista (Gruppo Alpha) terrà in Festa del Perdono una conferenza. In tempi di crisi, retoriche populiste e reazionarie rischiano di trovare nuova linfa vitale: questi gruppi infatti, cercano di nascondere le reali cause che stanno alla base della crisi economica e delle politiche lacrime e sangue emanate dai vari governi cercando di incanalare la rabbia di chi è affamato verso derive nazionaliste e xenofobe. Abbiamo più volte argomentato come la crisi sia una diretta conseguenza dell’attuale sistema economico di produzione capitalistico e come non vi sia alcuna uscita dalla crisi che non sia una fuoriuscita dal capitalismo (altro che euro si, euro no!).

Consapevoli che la solidarietà sia un’arma, pensiamo che non ci sia miglior modo di portare solidarietà ai compagni sotto processo che andare tutti ad impedire questo ritrovo neofascista in università.

7 gennaio: Giornata Antifascista! ore 16 banchetto di contro-informazione + aperitivo benefit per le spese legali del collettivo Riscossa Catanzaro @ Cortile di Scienze Politiche, Via Conservatorio,7.

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GENNAIO ANTIFASCISTA

ANTIFA

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CHI CONTROLLA IL PASSATO, CONTROLLA IL FUTURO

Solidarietà agli studenti sotto processo per le mobilitazioni dell’Onda

Il 17 dicembre 2013 si riaprirà, presso il tribunale di Milano, un processo contro alcuni studenti e studentesse per l’occupazione della stazione di Lambrate, avvenuta durante il periodo dell’ ‘Onda’.
Per Onda si intende il periodo di mobilitazioni che per quasi due anni, dall’autunno 2008 a fine 2010, ha visto centinaia di migliaia di persone scendere in strada, partecipare ai cortei, occupare facoltà, scuole e stazioni.
Gli studenti non contestavano solo i tagli al diritto allo studio decretati dalla riforma Gelmini, ma portavano precise critiche alle tendenze neoliberiste di governo e Confindustria.
L’ingresso dei privati nella gestione delle Università, il taglio delle borse di studio, l’aumento delle tasse e la riforma del sistema dei corsi di laurea, sono infatti inseriti nel contesto di un generale asservimento, di ogni ambito della società, al libero mercato.
Colpire questi studenti non solo vuol dire attaccare quella che fu l’Onda e delegittimare la portata di quelle proteste, ma vuole essere monito per le presenti e future mobilitazioni, quando sappiamo invece che il miglior modo per rispondere a questo attacco repressivo è continuare a lottare: continuare a portare avanti quelle stesse rivendicazioni contro l’università e la scuola-azienda, contro il processo di mercificazione dell’istruzione, contro la devastazione dei territori, al fianco di lavoratori e disoccupati.
Sviluppare una memoria storica, ricordare cioè la portata di quel periodo di mobilitazioni, significa porre le basi per le future mobilitazioni ed è allo stesso tempo il miglior modo per aiutare i giovani studenti che tutt’oggi si trova no a vivere le contraddizioni date dalla deriva aziendalistica a sviluppare una propria critica.
Ribellarsi era, è, sarà giusto.
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“Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono.”

1396500_10202210387685592_1512265685_nIl 19 ottobre a Roma sono scese in piazza 70.000 persone per opporsi alle manovre di austerity imposte da governi e padroni, come unica via da perseguire di fronte alla crisi.
Una mobilitazione che, unitamente alle pratiche conflittuali che si sono sviluppate coscientemente al suo interno, ci dimostra quanto ampie siano le contraddizioni sociali e, soprattutto, quanta poca fiducia si riponga nelle “ricette” dei governi e nelle istanze dei partiti. Una partecipazione che ha stupito anche gli organizzatori stessi, sia per il numero, che per la composizione reale del corteo: migliaia di famiglie, migranti, studenti, lavoratori e disoccupati, che quel giorno si sono riappropriati delle strade e degli spazi della città, ribadendo l’importanza di portare in piazza in modo compatto le lotte che ogni realtà affronta quotidianamente sul territorio.
Noi, come studenti, siamo scesi in piazza per rilanciare le lotte all’interno dell’università, dove è forte l’esigenza di riprenderci ciò che con le riforme degli ultimi anni ci stanno togliendo e di opporsi al processo di aziendalizzazione e allo smantellamento del diritto allo studio.
I rappresentanti della classe dirigente ogni giorno parlano di “democrazia”, un sistema democratico dove però non c’è nemmeno concessa la possibilità di prendere parola, dove decidono arbitrariamente, ad esempio, di tagliare i fondi per l’istruzione per poi investire milioni nelle grandi opere come la TAV, oppure dove fanno passare i tagli alla sanità come strettamente necessari per poi destinare spropositate somme alle spese militari. Nessuno interpella i migranti che chiedono condizioni di vita meno disumane. Nessuno interpella i lavoratori quando nei salotti blindati dei padroni si decidono politiche di sfruttamento e precarizzazione che attaccano materialmente le condizioni di esistenza nostre, delle nostre famiglie, della nostra classe sociale.

Eppure ci si scandalizza se questi settori sociali pretendono legittimamente di interferire con le strutture che decretano tutto ciò, nell’unico modo realmente disponibile.

Secondo noi a questa “democrazia” non si può soggiacere accettando di buon grado le decisioni e le opinioni di quei signori la cui legalità divora le nostre vite e il nostro futuro, giorno dopo giorno, manovra politica dopo manovra politica. Davanti a questa Violenza non si può chinar la testa, davanti a questa Violenza è doveroso reagire in ogni modo e con ogni mezzo. Mentre secondo i giornali i violenti sono coloro che portano avanti determinate pratiche considerate “violente”, contro chi ci priva di tutto ciò che ci spetta, e attraverso manovre economiche e riforme, ci “taglia le gambe“. La vera violenza è precarietà, guerra e sfruttamento, ovvero i dettami principali dei governi di una “democrazia” blindata ed escludente.

Per tutta la settimana a Roma si sono susseguiti atti intimidatori nei confronti di possibili partecipanti al corteo, fino ad arrivare alla data del 19 Ottobre dove 16 sono stati i fermi, di cui 6 convalidati, con l’accusa di resistenza pluriaggravata e che verranno processati per direttissima in questi giorni. Ancora una volta la risposta che questo sistema sa dare è una sola: repressione.

Non ci resta che continuare la lotta contro l’aziendalizzazione dell’università e la precarietà sui luoghi di lavoro, consci che sia la miglior arma per rispondere alla repressione e per dimostrare la solidarietà a coloro che sono stati arrestati.

Solidarietà agli arrestati il 19 ottobre.

Celeste, Sara, Rafael, Raffaele, Giovanni e Massimo liberi.

Libertà per tutti gli arrestati!

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APPELLO PER LA COSTRUZIONE DI UNO SPEZZONE UNIVERSITARIO DI CLASSE PER LA GIORNATA DEL 19 OTTOBRE A ROMA

Il 18 e 19 ottobre Roma sarà luogo di mobilitazione contro le manovre di austerity imposte da governi e padroni come unica via da percorrere per salvare se stessi a discapito di studenti, lavoratori e disoccupati.

I cosiddetti “sacrifici” altro non sono che l’abbassamento degli standard di vita dei soggetti subalterni al sistema capitalista: dimezzamento del salario, aumento indiscriminato dei carichi di lavoro e conseguente disoccupazione, tagli ai fondi che sostenevano tutti quei diritti fino a ieri garantiti da anni di lotte, i quali altro non sono a loro volta che salario indiretto.

Vogliono farci pagare ciò che già dovrebbe essere nostro.

In quanto studenti e proletari subiamo in prima persona questa forma di macelleria sociale chiamata “revisione di bilancio”: dalla precarietà di vita impostaci, fino all’aumento indiscriminato di tasse scolastiche, caro-libri e strutture inadeguate e fatiscenti.

Tutto ciò ha come effetto la tendenza ad escludere dalla formazione gli appartenenti alla nostra classe : questo non si esaurisce solo nelle già citate barriere economiche ( a cui si aggiungono quelle formali dei test di ingresso e corsi a numero chiuso ), ma si articola ulteriormente nella divisione in serie A e B degli atenei – dove solo i primi avranno fondi, al puro scopo di formare ideologicamente e tecnicamente la futura classe dirigente – e nella parzialità dei metodi di giudizio a discrezione del professore-barone, che da sempre difende il suo feudo accademico da qualunque minaccia di pensiero critico.

In poche parole, se nella scorsa congiuntura economica il sistema capitalista necessitava forza-lavoro altamente qualificata ora che il controllo sulla produzione è sempre più automatizzato, non ci lascia altra prospettiva se non quella di gettarci direttamente in un mondo del lavoro che ci vuole lavoratori dequalificati e altamente ricattabili..

Tutto questo avviene in nome della meritocrazia, giustificazione ideologica che pretenderebbe di decidere chi può accedere all’istruzione e chi no, mettendoci così in concorrenza l’uno contro l’altro per accaparrarci ciò che dovrebbe essere di tutti. Ecco, quindi, trovato il modo per camuffare i tagli indiscriminati degli ultimi anni che tolgono a tutti per dare a una cerchia sempre più ristretta:‘i meritevoli’. Spesso però, questi pochi meritevoli non sono altro che gli appartenenti alle classi più agiate e non chi è alla perenne ricerca di un lavoro per mantenersi gli studi.

Come se tutto ciò non bastasse chi riesce a superare questa selezione troverà un’ università che, lungi dall’essere un luogo di apprendimento critico e neutrale, è sempre più “aziendalizzata”. Un luogo quindi dove domina la riproduzione ideologica e tecnico-nozionistica di imprese e padroni.

Come studenti e studenti-lavoratori sentiamo quindi l’esigenza di scendere a Roma il 19 ottobre per rilanciare la nostra lotta all’interno dell’università e per riprenderci ciò che progressivamente ci stanno togliendo.

Invece di elemosinare forme di assistenza, la nostra parola d’ordine sarà riappropriazione, ovvero il terreno che ci vede impegnati materialmente nella difesa del diritto allo studio delle classi subalterne rispetto agli attacchi che ci rivolge il comando capitalista di governi e padroni, tanto sui luoghi di lavoro quanto nelle facoltà.

L’occupazione di spazi lasciati chiusi per anni all’interno delle nostre facoltà; la riappropriazione, quindi, di spazi in cui mettere in discussione il nozionismo impartito dai corsi; la condivisione gratuita di libri in pdf e le biblioteche autogestite; la creazione di momenti di dibattito e controinformazione; l’organizzazione di pranzi sociali per far fronte all’aumento dei prezzi dei pasti nelle mense universitarie; l’occupazione di luoghi ove creare studentati contro il caro-affitti; la difficoltà a sostenere le spese dei trasporti i quali dovrebbero essere un diritto: questi sono gli argomenti con i quali scenderemo in piazza, queste sono le basi per ricostruire.

Riprendiamoci ciò che è nostro.

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LETTERA DI UNO STUDENTE DAL CARCERE DI SAN VITTORE

Qui di seguito pubblichiamo la lettera di uno studente della facoltà di Scienze Politiche, militante nell’assemblea di facoltà, arrestato lo scorso 4 settembre con l’accusa di aver preso parte agli incidenti che hanno provocato il ferimento di un altro studente ad una festa in Statale:

AGLI STUDENTI E ALLE STUDENTESSE, AI LAVORATORI E ALLE LAVORATRICI DELL’UNIVERSITA’ STATALE DI MILANO.

Settant’anni sono passati da quel 8 settembre. Quel giorno nel nostro Paese si ricominciava a sperare alla fine della guerra e del fascismo.

Triste anniversario per scrivere queste parole, anche perché dopo quella data le violenze non finirono. Iniziò la lotta partigiana per cacciar via i nazisti e i fascisti nostrani (i repubblichini) che occupavano le nostre città e le nostre campagne. Iniziarono gli scioperi nelle fabbriche, si saliva in montagna per organizzarsi, ci si ribellava dentro i confini e le galere. La repressione si fece sempre più dura, più brutale. Le fucilazioni, i massacri. Ma i partigiani seppero resistere e seppero sconfiggere il nazifascismo.

Sono state le storie dei partigiani che mi hanno insegnato a lottare. E le parole di mio nonno, che partigiano non fu ma che mi insegnò che per i propri diritti bisogna lottare, sempre a testa alta, senza mai guardarsi indietro.

Concetti che feci miei sin da quando andavo a scuola. Non fu un momento specifico, ma un insieme di eventi, ciò che mi fece maturare l’idea che la mia condizione, come quella dei miei coetanei, stava peggiorando. Le riforme dell’istruzione (Zecchino-Berlinguer, Moratti e Gelmini) e le riforme del lavoro (Pacchetto Treu e Legge 30) sono state solo alcune delle mosse che hanno consegnato a noi giovani questa situazione disastrosa. E poi la crisi economica che colpisce tutti, studenti e lavoratori, disoccupati e pensionati, genitori e figli, carcerati e immigrati.

In un contesto come questo, l’unica cosa che i governi di mezzo mondo hanno saputo fare è stata stringere la cinghia. Le chiamano manovre “lacrime e sangue”. Ma lacrime e sangue di chi? Sempre dei soliti, di chi lavora, di chi va a scuola, di chi è povero. I ricchi no, loro non pagano la crisi, loro devono guadagnare, governare e arricchirsi grazie alla crisi. Allora il fallimento di una fabbrica, mentre diventa un dramma per centinaia (se non migliaia) di famiglie che rimangono senza lavoro, diventa una buona occasione per lauti guadagni per qualche nuovo imprenditore. E lo stesso vale per la svendita dell’istruzione pubblica. Adesso non si studia più perché si vuole studiare, per farsi una cultura, per provare a capire come funziona il mondo o come osservare la natura. No, adesso no, adesso si deve studiare unicamente per lavorare e per questo motivo si studia solo quello che serve alle esigenze del mercato del lavoro. Nel frattempo si aprono le porte ai privati: i soldi, le spese rimangono pubbliche, ma i profitti, il cosiddetto “capitale umano” va ai privati, alle imprese, a CONFiNDUSTRIA, a ingrossare i guadagni dei ricchi.

E così, mentre smantellano l’università pubblica, si restringono anche le opportunità per tutti i nuovi iscritti e per chi si vuole iscrivere. Nell’era della crisi, come ogni buona azienda (già, perché adesso chi gestisce l’università è un consiglio d’amministrazione, come nelle migliori imprese) l’università taglia le voci di spesa che ritiene non profittevoli. Allora si appaltano a ditte esterne servizi essenziali come la mensa o le pulizie – con condizioni economiche e lavorative sempre peggiori per i lavoratori- oppure si tagliano direttamente studentati e borse di studio. Addirittura interviene una riforma, quella dell’ex ministro Profumo, a modificare i criteri su come vengono assegnate le borse di studio: non più su base economica –cioè a seconda del reddito e della possibilità di permettersi o meno l’università- ,ma solo in base al merito. Meritocrazia, finto valore di questa società, che si ricollega direttamente all’essere produttivi sul posto di lavoro. Perché si, nell’era della crisi, per riprendere a fare guadagni, l’unica cosa che fanno i padroni è spremere di più i propri lavoratori, spingerli ad essere più “produttivi”. Quindi si, vai bene a scuola, fai il bravo e vedrai che lavorerai meglio.

E’ così anche per la mia storia. Chi comanda, chi governa, chi guida e amministra la giustizia in questo paese, ha deciso che io e Lollo siamo colpevoli. E le manette scattano automaticamente. Strano sistema questo, che prima ti sbatte in galera e poi si domanda se sei stato tu o meno. E ce ne sono a migliaia di storie come questa dietro queste mura.

Ho dichiarato ciò che avevo da dire al GIP l’altra mattina. Ho spiegato che io non c’entro niente, che questo ragazzo, Federico, non lo conosco e che non avevo idea che quella sera fosse andato via in quella maniera.

Se avessi visto quella scritta sul manifesto sarei andato a parlare con Federico e  gli avrei spiegato che il suo era stato un gesto poco rispettoso nei confronti di chi si è fatto giorni, mesi, anni di carcere per le proprie idee. Gli avrei detto che avrebbe potuto scrivere da un’altra parte, ma mai mi sarei immaginato di prenderlo a botte. Che ragioni avrei avuto?

Ogni giorno vado in università e non ci vado solo per studiare. Peggiorano le condizioni di noi studenti e penso perciò che sia giusto opporsi a questo, lottare per ciò che ci spetta, per soddisfare i nostri bisogni e far valere i nostri diritti. Io, con gli altri studenti come me, ci parlo, mica alzo le mani su di loro.

Vedendo le firme dei provvedimenti, di chi mi è venuto a prendere a casa (la DIGOS!), dei signori P.M. che hanno deciso di arrestarmi (e sapendo che fanno parte del pool dell’antiterrorismo) mi sorge allora spontanea una domanda: cosa si sta processando in questo caso? Ciò che è successo quella sera o la nostra attività politica, le nostre idee? Di cosa hanno paura questi magistrati, che noi studenti e lavoratori veramente ci mobilitiamo per riprenderci ciò che è nostro, ciò che le riforme degli ultimi vent’anni ci hanno levato?

Ecco spiegato il nesso con l’accusa contro la Ex-Cuem, contro i collettivi, contro i centri sociali. Contro chi ogni giorno, a scuola, in università, sul posto di lavoro o nei propri quartieri, cerca di lottare per migliorare le condizioni di tutti e tutte.

Questo è un attacco contro chi si mobilita e si autorganizza, questo è un attacco repressivo contro chi mette in discussione questo sistema di cose. Questo, a me sembra fascismo. E i partigiani mi hanno insegnato che i fascisti si cacciano via. E Federico non mi è sembrato un fascista.

Simone, studente di Scienze Politiche

 

 

 

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CiDis = (consorzio) Contro Il Diritto allo Studio

Da quando siamo iscritti all’università vediamo in prima persona, di anno in anno, il progressivo peggioramento delle condizioni alle quali uno studente deve sottostare per terminare il suo percorso formativo. Questo è dovuto principalmente all’assottigliamento dei fondi destinati al diritto allo studio. Approfondiamo la questione. Per diritto allo studio si intende la possibilità  per tutti di accedere all’università e poterne frequentare i corsi fino al termine del percorso formativo. L’ente che, a Milano, si occupa di gestire i fondi ad esso destinati è il C.iDiS (Consorzio interuniversitario per il diritto allo studio), esso lo fa prendendosi carico dei servizi offerti dall’università e della gestione delle borse di studio. Questo dovrebbe permettere anche agli studenti meno abbienti di sostenere le spese e le stesse tasse universitarie sempre più alte, senza dover cercare un lavoro per farlo. Di ottenere un alloggio per il quale non si debba far fronte ad un affitto insostenibile. Di poter raggiungere fisicamente la facoltà in cui si studia, senza dover sborsare mensilmente ingenti somme alle aziende di trasporto. Ognuno di questi bisogni, se non soddisfatto, rappresenta un ostacolo di ordine economico e quindi sociale alla possibilità, per ognuno, di ricevere un’istruzione di qualità. Ciò che possiamo analizzare a partire da ciò che ci viviamo in università, ci fornisce un quadro assai differente.

Il modello economico attualmente dominante si fonda sulla divisione della società in differenti frazioni, i cui interessi sono opposti tra loro. L’università non è esente da questo processo, al suo interno infatti viene operata una precisa scrematura sociale, una vera e propria selezione di classe. In questi ultimi tempi, che hanno visto susseguirsi manovre d’austerity e tagli ai fondi dell’istruzione pubblica, la selezione sta di anno in anno diventando sempre più stringente: difatti il taglio alle borse di studio (del 95%), agli alloggi (con la legge finanziaria del 2009 sono stati previsti dei tagli di -6,6 milioni per il 2009, -7,1 milioni per il 2010 e -12,7 per il 2012, fonte: Il sole 24 ore), il caro libri e il caro-mensa stanno impedendo sempre più l’accesso universale all’istruzione. Il tutto nel nome del merito, giustificazione ideologica alle necessità del capitale di aziendalizzare, ovvero porre sempre più l’istruzione al servizio totale di imprese e CONFINDUSTRIA, dai temi sempre più di carattere nozionistico e acritico trattati ai  corsi fino alla differenziazione tra atenei di serie A e di serie B o addirittura barriere di accesso all‘istruzione, di tipo economico, per le classi meno avvantaggiate (gli incrementi di tasse universitarie dal 2004 al 2012 hanno toccato l’apice del 168%). I cui appartenenti, per condizioni di obbiettivo svantaggio sociale, non potranno nella maggior parte dei casi mai essere definiti meritevoli. In poche parole non abbiamo diritto ad una istruzione per il semplice fatto che siamo individui che vogliono accrescere se stessi e le loro competenze generali, ma solo e soltanto se ciò potrà giovare alle esigenze di profitto e organizzazione del lavoro di aziende e privati.

Nel contempo assistiamo allo svilupparsi di forme di lotta all’interno dell’università, che anche attraverso la pratica della riappropriazione, si riprendono quelle fette di diritto allo studio che vengono negate.

La nascita delle mense autogestite, come ad esempio quella dell’università Federico II di Napoli: dove alcuni studenti hanno occupato e messo in funzione una mensa, lasciata abbandonata da parte dell’istituzione accademica nonostante fosse una struttura nuova ed efficiente.

Oppure le molte aule autogestite dagli studenti per far fronte alla mancanza di aule studio e di luoghi di confronto critico come avviene a Scienze Politiche. E ancora la condivisione dei libri di testo gratuitamente, altro fronte su cui ci impegniamo.

Ottenere un alloggio pagando affitti esorbitanti grava, come tassa indiretta, sul diritto allo studio. Oltremodo non poterselo permettere significa dover sostenere il costo dei trasporti e vivere in famiglia. Allo stesso modo, riappropriarsi di un alloggio, a fronte dei numerosissimi abbandonati, significa anche prendersi una parte di quel diritto allo studio negato.  Altra pratica, quest’ultima, messa in atto ad esempio a Roma con lo studentato “Degage”.

Senza ombra di dubbio le soluzioni individuali a questi problemi possono al massimo fornire brevi palliativi. E’ necessario invece organizzarsi collettivamente e riprenderci ciò che dovrebbe già essere nostro, in quanto le classi sociali che producono la ricchezza materiale sono proprio quelle che più vengono colpite.

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COMUNICATO IN SEGUITO AGLI ARRESTI DEL 4 SETTEMBRE

COMUNICATO IN SEGUITO AGLI ARRESTI DEL 4 SETTEMBRE

Il 4 settembre, uno studente e un ex studente di Scienze Politiche, appartenenti all’Assemblea di Scienze Politiche, sono stati arrestati con l’accusa di aver preso parte ad una rissa avvenuta a Febbraio durante una festa in Statale.

Da subito si è scatenata la gara dello “sbatti il mostro in prima pagina”: feroci picchiatori, barbari, belve, questi sono gli appellativi usati dai media per i due arrestati.

Non è nostra intenzione prestarci all’uso strumentale che è stato fatto dai giornali e dalla questura su una vicenda che non ha alcun contenuto politico. Non è un caso, infatti, che su tutte le testate venga sottolineata la partecipazione dei due all’interno del movimento studentesco (proprio alla vigilia del nuovo anno accademico) e del movimento No Tav. Non è un caso che l’inchiesta sia condotta dal pm Basilone – lo stesso che ha firmato gli arresti per resistenza dopo lo sgombero della ex Cuem in Statale – e dal procuratore Romanelli, capo del Quarto Dipartimento Antiterrorismo.

Nel mese di Agosto i vertici dell’università hanno chiuso lo spazio occupato della libreria ex- Cuem, approfittando dell’assenza degli studenti nel periodo estivo. Ora, il tentativo è quello di delegittimare qualunque studente, o gruppo politico, che all’interno delle facoltà si opponga al processo di ristrutturazione e di aziendalizzazione dell’università, contro lo smantellamento del diritto allo studio che penalizza gli studenti meno abbienti. Il lavoro che portiamo avanti a scienze politiche parte infatti dall’esigenza di riappropriarci di ciò che ci viene tolto riforma dopo riforma, da governi di ogni risma; e non solo come studenti, ma anche come studenti-lavoratori colpiti da continui attacchi a diritti e salario.

Riappropriazione e forme di organizzazione – come la condivisione gratuita di libri in pdf contro il caro-libri, pranzi sociali, riapertura di spazi utili agli studenti ma tenuti chiusi, questo, insieme alla costante solidarietà ai lavoratori della statale- hanno caratterizzato da sempre le nostre attività in facoltà. La nostra critica ad un’università subordinata alle esigenze del mondo imprenditoriale, a scapito dei diritti, si scontra quindi con gli interessi della classe dirigente, che sempre in misura maggiore necessita di luoghi di formazione funzionali alla creazione di lavoratori precari e ricattabili. Con i discorsi, le assemblee, le mobilitazioni, ci siamo costruiti dentro le mura della facoltà una legittimità basata appunto sulla concretezza delle critiche che portiamo, proprio perché partono dalla condizione e dai bisogni degli studenti. Tentano quindi un attacco ai fianchi, a cui semplicemente risponderemo proseguendo le nostre lotte.

Non sono bastati gli sgomberi degli spazi occupati all’interno degli atenei, le commissioni disciplinari ad hoc, le cariche, né tanto meno gli arresti; nelle facoltà esistono ancora luoghi, fisici o meno, con i quali gli studenti tentano di opporsi ad un’università sempre più asservita alle imprese e alle logiche del profitto.

L’anno scorso abbiamo visto numerosi studenti impegnarsi attivamente nella lotta contro queste strategie e le azioni di solidarietà sono state molteplici in tutto il Paese.

Per questo, rimarcare l’attivismo politico dei due studenti arrestati è funzionale a isolare queste stesse lotte, e fare terra bruciata intorno a chi rivendica i propri diritti e si riappropria di quanto gli spetta.

Giornalisti, politici e magistrati pretendono di giudicare l’operato politico dell’Assemblea di Scienze Politiche attraverso un evento che si presta a facili strumentalizzazioni. Tutto questo perchè impossibilitati a farlo sui contenuti espressi in tutti questi anni. Contenuti che tanti studenti con la loro partecipazione hanno sostenuto. A questi ultimi lasciamo un giudizio scevro dalla propaganda politica propinata da giornali e questura.

Per chi volesse esprimere la propria vicinanza:
Minani Lorenzo Kalisa e Di Renzo Simone
Casa Circondariale di Milano San Vittore Piazza Filangeri 2, 20123 – Milano

 

 

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PARTY DALLO SPAZIO

 

CONTRO I RIMTI DELL’UNIVERSITA’-AZIENDA

RIPRENDIAMOCI I NOSTRI TEMPI E I NOSTRI SPAZI

Giovedì 20 giugno – Facoltà di Scienze Politiche -via Conservatorio, 7 UNIMI

dalle 18,00

APERITIVO IN CORTILE

con DJ LUPIN (ska – early reggae)

Mostra fotografica, banchetti informativi e condivisione libri di testo col progetto LIBREREMO

dalle 19,00

DJ REMBAM BEAT – rock’n’roll/punk/garagebeat

DJ BERRACUDA- trash

SANKARAP- reggae

LELEPROX – drum’n’bass

20 giugno per diffusione

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LA CRISI COME NESSUNO LA SPIEGA

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