Durante l’ultimo senato accademico, svoltosi il 15 febbraio, è stata istituita una commissione disciplinare per valutare le sanzioni disciplinari da comminare nei confronti di 8 studenti, di cui 7 iscritti alla facoltà di Scienze politiche, sotto accusa per l’occupazione di uno spazio nel dipartimento di storia a Scienze Politiche. Di fronte all’attacco gravissimo che da anni le politiche neoliberiste hanno condotto nei confronti dell’istruzione pubblica, così come dello stato sociale, oggi sotto accusa vi sono 8 studenti che insieme a migliaia di altri studenti e lavoratori si sono opposti concretamente alle politiche di aziendalizzazione e mercificazione dell’università.
Durante i mesi di dicembre e gennaio era stata occupata un’aula nel dipartimento di Storia in via Livorno dove gli studenti avevano creato il dipartimento autogestito, un luogo dove costruire un’università alternativa ai ritmi imposti dall’università, un luogo dove discutere e confrontarsi in maniera critica, ma anche un luogo dove studiare quando non si trovava posto in biblioteca. L’occupazione era nata sia per proseguire la mobilitazione contro la riforma Gelmini, sia per promuovere la partecipazione studentesca allo sciopero del 28 gennaio lanciato dalla FIOM. Di fronte a questa soluzione trovata dagli studenti il preside e il rettore non si sono limitati, come le precedenti volte, a chiudere fisicamente gli spazi occupati con grate o cancellate di ferro, ma da veri sceriffi hanno deciso di ricorrere prima alla DIGOS, che ha sgomberato l’aula 3 volte identificando e denunciando alcuni dei presenti, e poi di utilizzare lo strumento della commissione disciplinare per sanzionare gli studenti.
- Perché riappropriarsi di spazi e tempi all’interno dell’università è una necessità primaria? Da anni esiste un problema di spazi all’interno dell’università e, in particolare, dentro la facoltà di scienze politiche[1]. Lo sanno gli studenti che ogni mattina devono vagare a lungo in cerca di un posto al caldo per studiare; lo sanno gli studenti che sono costretti a seguire le lezioni seduti per terra, e quelli che vorrebbero svolgere o auto-organizzare attività alternative alla didattica imposta dai baroni. Un problema dunque non solo politico, ma anche strutturale, nella gestione degli spazi all’interno della facoltà.
- Perché preside e rettore hanno deciso di ricorrere all’inquisizione? La motivazione è politica. Il chiaro intento è quello di colpire gli studenti che nei precedenti anni, durante le scorse mobilitazioni, hanno tenuto vive le lotte all’interno della facoltà. Non viene quindi recriminato soltanto l’atto in sé dell’occupazione di un’aula, ma un intero modus operandi, che va dalla contestazione di momenti come il carrier day (presentazione delle aziende in università) o l’open day (presentazione tanto idilliaca quanto falsa dell’università ai futuri studenti), al sostegno delle mobilitazioni esterne di lavoratori e immigrati, alla proposta di una socialità diversa.
Nulla di nuovo: ricordiamo come subito dopo l’Onda, una semplice partita di calcio all’interno del cortile della statale (la thecleva’s cup) sia stata trasformata in un pretesto per colpire attraverso le sanzioni quegli studenti che avevano partecipato alla mobilitazione dell’autunno appena passato.
Non è un caso: proprio nei momenti in cui le situazioni di lotta si moltiplicano all’interno delle università, la santa alleanza tra potere baronale e potere politico si salda per spegnere il prima possibile queste situazioni che potenzialmente potrebbero radicarsi. Infatti, dopo l’Onda del 2008, il ministro dell’Interno Maroni propose di modificare gli statuti degli atenei universitari per inasprire le sanzioni disciplinari a carico degli studenti in mobilitazione, incentivando i rettori ad utilizzare questo strumento fino ad allora quasi mai adoperato. Per lo stesso motivo gli spazi recentemente conquistati in varie facoltà italiane sono stati sgomberati.
D’altronde l’università di Milano, sotto la reggenza del rettore Decleva, ha raggiunto dei pessimi traguardi in termini di repressione: quanto è avvenuto in questi anni nelle diverse facoltà di questo ateneo è infatti il risultato di una politica verticista di elevato inasprimento delle libertà d’azione di alcuni studenti. Non a caso negli ultimi anni tutte le istanze di critica e opposizione all’interno dell’università sono state gestite come un problema di ordine pubblico, con un ricorso quotidiano all’intervento delle forze dell’ordine. Il filo che collega la questura di Milano al rettorato di questa Università ha trasformato l’università in uno spazio pubblico ‘garantito’ per la polizia. Ricordiamo che nel 2009 proprio per garantire ai neofascisti di azione universitaria di volantinare il loro appoggio alla riforma Gelmini, palesando così il loro carattere servile verso chi sta al governo e di ostilità verso gli interessi di gran parte degli studenti, il rettore autorizzò l’entrata della celere all’interno dell’atrio di festa del perdono. Da allora la presenza della polizia in università è diventata una costante.
Chiaramente, come nella realtà esterna, anche nell’università valgono le stesse logiche repressive: ad essere colpite sono quelle realtà difficilmente controllabili perché, evitando ogni logica di rappresentanza all’interno delle varie istituzioni, rifiutano qualsiasi compromesso o concertazione. Sono quindi queste realtà ad essere un reale problema per gli interessi di baroni e Confindustria. In quest’ottica non ci stupisce che preside e rettore legittimino solo gli studenti che si prestano al gioco delle parti in cambio di piccoli tornaconti personali, finendo per diventare dei perfetti burattini. L’unico comportamento che le istituzioni accademiche accettano all’interno dei loro feudi-facoltà è quello che costantemente si uniforma alle loro regole e sottostà alle loro decisioni.
- La riforma dello Statuto e l’attacco ai diritti dei lavoratori e studenti: Negare oggi l’agibilità politica apre la strada ad un accordo Marchionne anche nelle Università.
In questi mesi verranno discusse le modifiche allo statuto d’ateneo per omologarlo ai dettami della riforma Gelmini e dei baroni, rettore Enrico Decleva in primis. Il rettore, infatti, vuole modificare in fretta lo statuto anche per i propri interessi personali in quanto, secondo lo statuto attuale, non potrebbe più prorogare la propria candidatura. Ma è quanto meno allarmante la strana coincidenza che in questi mesi si sta verificando tra l’attacco ai diritti dei lavoratori e l’attacco ai diritti degli studenti sul piano della libertà di dissenso: a gennaio si è svolto il ‘libero’ referendum a Mirafiori, e subito dopo lo sciopero proclamato dalla Fiom per il 28 gennaio tutti gli spazi occupati nelle università italiane sono stati sgomberati, a Napoli, Firenze, Milano e infine Pavia: quegli spazi erano stati occupati anche per promuovere la partecipazione studentesca allo sciopero. Se da una parte l’accordo Marchionne limita la libera scelta del sindacato, mettendo di fatto fuori legge i sindacati dissenzienti, i baroni nostrani vogliono mettere al bando gli studenti che in questi anni si sono opposti concretamente ai piani di smantellamento dell’università. Ed onde evitare qualsiasi saldatura tra l’opposizione degli studenti e quella dei lavoratori, i baroni nostrani istituiscono processi: qui si leva la maschera di chi come il preside Checchi da un lato cerca di aggraziare la propria posizione firmando lettere di solidarietà ai lavoratori della Fiom, e poi gestisce il dissenso interno alla stregua dei suoi compari maghrebini.
In tempi di legislazione ordinaria, la sacra alleanza tra il potere baronale e quello imprenditoriale può decidere di inserire dei criteri e delle norme che limitano la libera scelta di azione e di protesta da parte di studenti e lavoratori. Cosa ci aspettiamo da un consiglio d’amministrazione in cui saranno presenti almeno 3 membri esterni? Che appoggino le lotte dei lavoratori, o che introducano un accordo-ricatto simile a quello imposto a Mirafiori?
Nonostante le possibili sanzioni disciplinari e gli ultimi sgomberi il problema degli spazi e dell’agibilità politica nell’università persiste. Per questo riteniamo legittimo continuare con questa lotta che rappresenta la soluzione ad un problema reale e diffuso. Il problema che poniamo riguarda la manifestazione di un’esigenza non soddisfatta che nutriamo come studenti e lavoratori, e riguarda l’accesso e vivibilità dell’università in quanto spazio di libera crescita. Quello che ci propinano come università è un luogo asservito agli interessi del mercato: quando le aziende chiedono spazi all’interno delle facoltà il rettore stende il tappeto rosso, mentre agli studenti risponde solo con la repressione.
Assemblea studenti contro la commissione, Assemblea Studenti Scienze Politiche, Collettivo Città Studi, Demos S. C., Collettivo FuoriControllo
Per adesioni al comunicato scrivete a:
studenticontrolacommissione@autistici.org
[1] Fino al 2002 esisteva, a scienze politiche, un’auletta autogestita dagli studenti nonostante la facoltà fosse più piccola, ma il preside di allora riuscì a sgomberarla con il pretesto della ristrutturazione della facoltà. Nel 2007 l’Assemblea di Scienze Politiche si riappropriò di uno spazio vuoto e fino ad allora inutilizzato, ma il preside furbescamente affrettò i lavori per allargare il polo di calcolo e trasformare questo luogo nell’attuale polo sotterraneo. Lo stesso giardino che oggi è frequentato liberamente è stato riaperto grazie ad una lotta sostenuta dall’Assemblea per poterlo utilizzare (semplicemente, si iniziò a non rispettare il divieto di entrarvi).