Per un’ università Pubblica, Libera e di Massa. NO al Test di Autovalutazione.

 

 Chi valuta chi?
 Come da copione anche quest’anno l’accesso a numerose
facoltà ed a singoli corsi di laurea è limitato da un numero chiuso.
La
giustificazione unanime fornita da governo, industriali e rettori verte su due
“virtù” proprie dello sbarramento all’ingresso: l’efficienza delle strutture
universitarie e la possibilità di selezionare i più capaci e meritevoli tra gli
studenti. A partire dal 1996, quando era ancora adibito all’iniziativa del
singolo ateneo (a tutt’oggi costituisce competenza governativa), il numero
chiuso era presentato come uno strumento capace di favorire i meno abbienti ,
poiché si basava sul merito e non sul reddito. Eppure statistiche ormai
decennali dimostrano chiaramente come la provenienza da un’area geografica
anziché da un altra o da una scuola di periferia rispetto ad una scuola “bene”
possano fare una grande differenza nei livelli di preparazione e nelle
possibilità di accesso al mondo universitario, o quanto vi influisca la
presenza di laureati tra i genitori e la quantità di libri presenti in casa. Questi
fattori, insieme all’ insufficienza delle politiche per il diritto allo studio

(borse, trasporti, studentati), al continuo aumento delle tasse
universitarie e all’impossibilità per gli studenti

lavoratori di frequentare (come indotto e richiesto
progressivamente dal nuovo ordinamento), confermano la presenza di un
meccanismo di selezione di classe nel nostro sistema formativo
.

L’introduzione di uno sbarramento all’ingresso per TUTTE
le facoltà è stato introdotto dal ministro Moratti nel 2004, e ratificato dal
sinistro ministro Mussi
. Lo chiamano test
di autovalutazione (ma solo perché paga lo studente!!!), ma la logica è
la stessa del numero programmato: chi non supera il test possiede un debito
formativo che gli preclude la possibilità di dare esami
(come se non
bastasse la valutazione del professore); la frequenza di corsi di recupero “libera”
lo studente da questo debito, dandogli finalmente la possibilità di sostenere
le prove d’esame. È evidente come in

questo modo si precluda ad un certo numero di studenti
(in particolare gli studenti-lavoratori) la possibilità di proseguire la carriera
universitaria basandosi sui risultati di un test nozionistico, quando sarebbe
sufficiente consentire il libero svolgimento dei corsi di recupero, la
possibilità di frequentare le lezioni e di dare esami per aggirare eventuali
lacune, senza per questo punire chi non passa la selezione. In questo modo
si assottigliano le aspettative da parte di chi si
appresta a
frequentare l’università ed appartiene ad una classe sociale sfavorita,
accentuando, invece che
limitando, la selezione di classe.

Cosa vogliono, allora, industriali, governo e baroni,
imponendoci per legge il numero chiuso?

La selezione di classe è un meccanismo progressivo, che
incide a partire dalla scelta della scuola media superiore, proseguendo via via
lungo il percorso universitario. Se pensiamo che da quest’anno esistono
degli sbarramenti (basati sul voto di uscita) tra triennale e magistrale
, e
che questi sbarramenti si riproducono dopo la magistrale nell’accesso ai vari
master (molto costosi e quindi inaccessibili a “chi non ha”), il quadro diviene
più chiaro.

L’intenzione è quella di produrre una differenziazione
dei percorsi di studio, che rigeneri, prima durante e dopo il percorso
universitario, una stratificazione sociale funzionale alle esigenze delle
imprese (rappresentate in Italia da Confindustria)
. Non è un caso che la riforma Brunetta (legge 133), differenzi, tagliando
le risorse, tra atenei competitivi (nei quali si forma la classe
dirigente, con un livello di tasse molto alto ed un finanziamento cospicuo da
parte dello Stato e delle imprese), e atenei di serie B, nei quali si
producono futuri lavoratori disciplinati e dequalificati.

L’unica risposta alla selezione, alle politiche che ci
vogliono sempre pi
ω ingabbiati e legati al nostro destino di lavoratori competitivi
e supini ai bisogni del padrone di turno è la lotta per una Università che sia
pubblica (e quindi adeguatamente finanziata), che non preveda costi per gli
studenti, che sia di qualità, che consenta l’accesso a tutti (indipendentemente
dalla classe sociale di provenienza) che non sia elitaria, bensì di massa.

 

NO AI TEST D’INGRESSO ED AI TEST DI AUTOVALUTAZIONE!!!

NO ALLA SELEZIONE DI CLASSE!!!

LOTTIAMO PER UNA UNIVERSITA’ CHE SIA PUBBLICA, GRATUITA,
LIBERA E DI MASSA!!!

RED NET

Rete delle realtà studentesche autorganizzate

www.red-net.it
 
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In che modo l’università fa pagare agli studenti il taglio dei fondi?

In un
recente articolo il nostro preside giustifica come legittimo l’aumento delle
tasse universitarie: il problema dell’università sarebbe stato il numero
crescente di iscritti. Da più parti ci dicono che l’università deve essere
d’elite e non di massa! Non a caso l’aumento progressivo delle tasse,
l’inserimento del numero chiuso, e l’accesso con test di accertamento stanno
facendo diminuire il numero degli iscritti. Ma l’elite di cui parlano non è
soltanto l’elite studentesca che potrà permettersi di pagare tasse che pian
piano faranno invidia alle università private; l’elite è soprattutto quella
baronale, quella che gestisce l’università come se fosse il proprio orticello,
con concorsi farsa, con la creazione di cattedre ad hoc per amici e parenti,
ecc ecc…
Nel suo articolo il preside scrive “L’attuale sistema lascia nella
sostanziale irresponsabilità gli studenti e le loro famiglie, che sono indotte
ad accettare uno scambio del tipo: basso prezzo-basse aspettative-bassa
qualità” …

Responsabilità? Ma voi ve lo immaginate un padre con la
5a elementare che di professione fa l’operaio, che accompagna il figlio a
scoprire la qualità dell’università? O meglio ancora riuscite a immaginare una
matricola, che imbevuta della peggiore propaganda messa in atto dalle
università (nelle ricorrenze tipo quella di oggi), riesce a capire se quello
che gli stanno vendendo è veramente oro? Se c’è qualcuno che si deve accollare
la responsabilità della qualità della didattica questi non sono gli studenti e
le loro famiglie, ma quanto meno chi gestisce le università, chi viene pagato
per lavorarci, chi fa i concorsi, chi insegna, chi ricerca, chi fa gli esami.
Sarebbe più onesto ammettere che l’aumento delle tasse serve a rimpiazzare (in
parte) il taglio dei fondi: e invece no! Si maschera l’aumento dei fondi con un
aumento della qualità. Peccato che in sostanza nelle università non cambia
nulla per quanto riguarda né il sistema baronale né il metodo di reclutamento e
valutazione dei docenti.
 
Meritocrazia. Dietro questa parola si nascondano le peggiori bufale
inventate dall’intera casta baronale. La soluzione fornita al taglio dei fondi
è stata quella di razionalizzare i tagli in base a un principio di merito: le
università migliori vengono premiate e hanno ricevuto più fondi. Ma vogliamo
andare a vedere in che modo sono stati assegnati questi fondi? In particolare i
2/3 sono stati assegnati in base alla qualità della ricerca, 1/3 in base alla
qualità della didattica. E da cosa dipende la qualità della ricerca?
– “Rafforzare la competitività dell’ateneo in campo nazionale e
internazionale”;
– “Aumentare le produttività, la qualità e l’impatto della ricerca giudicandoli
in base a parametri quali brevetti, finanziamenti esterni, grado di
internazionalizzazione e pubblicazioni”.Ovvero uno spot aziendale. Ed è ovvio
che l’università non è più un luogo di formazione, bensì un mercato di beni (il
prodotto della ricerca) e forza lavoro. Questa è il loro modello di università:
un involucro vuoto ma decoroso.

Questa non è l’università che noi vogliamo.

articolo tratto da Linea di Massima Settembre 2009.

Per scaricare il pieghevole in formato .pdf cliccare sul link sotto.
Linea010_num0.pdf

 

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Nessun compagno verrà lasciato solo.

liberi tuttiripubblichiamo sotto il comunicato scritto, come rete delle realtà
studentesche

autorganizzate -Rednet-, assieme agli altri collettivi universitari che vi partecipano.

 

All’alba della mattinata del 6 luglio sono stati arrestati
21 compagni (12 a Torino, 3 a Padova, 4 a Bologna, 1 a Milano, 1 a Napoli), in
seguito agli scontri avvenuti il 19 maggio scorso a Torino, durante le
mobilitazioni contro il G8 University Summit. 

Come se non bastassero le cariche, le leggi restrittive
del diritto di sciopero e di manifestazione, il pacchetto sicurezza ed il clima
emergenziale creato in vista del G8, questi arresti stanno a ricordarci quanto
la repressione si stia alzando in questi ultimi mesi, colpendo chi si è opposto
al tentativo di “farci pagare la crisi”.

…chi colpisce…

Gli studenti hanno dimostrato di saper rispondere
in quelle giornate di luglio, in maniera conflittuale ed organizzata, a quelle
che sono le ricette padronali per l’Università: una ricerca asservita alle
imprese, un sapere modulare e quindi produttivistico e dequalificato, una
selezione di classe a più livelli, la creazione di Università a due velocità,
la conservazione del sistema baronale. Questo gruppo sociale si è sollevato un
po’ in tutta Europa, dalla Francia alla Grecia, dalla Germania ai Paesi
Catalani, dall’Italia alla Spagna, ed ha avuto come obbiettivo quello di
affossare le riforme degli ultimi dieci anni, di sdoganare la ricerca e la
formazione dagli interessi delle imprese, interessi divenuti legge grazie
all’applicazione progressiva del Processo di Bologna, che quest’anno ne ha
compiuti dieci. Non è un caso che siano per la maggioranza studenti i compagni
arrestati.

…e perchè…

La classe al potere teme che il conflitto sociale
si estenda dal mondo della scuola e dall’Università al mondo del lavoro,
ugualmente e più profondamente colpito dalla perdita di diritti collettivi e di
salario reale per salvare i profitti altrui. Il G8 rappresenta uno dei momenti
in cui tutti i rigagnoli delle lotte (da quelle studentesche a quelle sul
lavoro) confluiscono in un’opposizione politica unica ai “padroni della Terra”.
È un’occasione per dare forma ad una conflittualità e ad un disagio latente che
può unire sotto la stessa parola d’ordine studenti e lavoratori. No al G8 dei
padroni. Gli arresti, avvenuti a quattro giorni dal controvertice
internazionale de L’Aquila, costituiscono una chiara intimidazione per tutti
coloro che vorranno criticare fino in fondo questo sistema socio-economico, che
ci espropria del nostro tempo, del nostro lavoro, della nostra intelligenza.

 

A Torino non sono riusciti nel tentativo di creare
divisioni tra chi si è scontrato con la polizia e chi ha voluto mantenere una
innocuità di fondo. Ci hanno provato, ma è risultato evidente che a Torino il
teorema del black block, tanto in voga a Genova nel 2001, non ha funzionato,
poiché gli studenti hanno mantenuto un’unità di fondo, che si manifesta oggi
nella solidarietà espressa agli arrestati da varie città. Sono stati occupati rettorati,
facoltà, ci sono stati vari cortei studenteschi non autorizzati (nonostante
siamo a luglio!!), e ce ne saranno nei prossimi giorni, a sottolineare che non
lasceremo soli i compagni, e che la lotta non si arresta.

 SOLIDARIETA’ MILITANTE AGLI ARRESTATI!!!
LIBERI TUTTI LIBERI SUBITO!!!

 

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Teniamo alta la tensione: Alessandro e Domenico liberi subito

 

 

Corteo contro il G8 del università 19-05 a Torino

 

Nel corso della manifestazione nazionale contro il G8 University Summit a Torino,
martedì 19 maggio, sono stati tratti in arresto due compagni, Alessandro e
Domenico. Dai presidi sotto il carcere dove sono attualmente detenuti, agli
striscioni di solidarietà apparsi in moltissimi atenei, il movimento che dal
luglio scorso si batte contro i tagli all’università ne rivendica a gran voce
l’immediata liberazione.

Il corteo di martedì, momento conclusivo delle giornate di mobilitazione
contro questo summit di rettori e baronie varie, si colloca pienamente
all’interno dei percorsi che il movimento di quest’autunno ha saputo
sviluppare: dall’occupazione di spazi nelle facoltà, ai cortei selvaggi, ai blocchi
nelle strade e nelle stazioni.

Giornali e media in generale hanno tentato, e cercano tuttora, di separare
la “parte buona”, magari quella che cerca il dialogo con le istituzioni
universitarie, e la “parte cattiva”, gli infiltrati, i “professionisti della
protesta” il cui unico obiettivo è “creare disordini”. Rispediamo al mittente
questa falsificazione, esprimendo la nostra più sincera e completa solidarietà
ai due arrestati.

 

Ribadiamo ancora una volta che i veri criminali sono coloro che precarizzano
il lavoro e le nostre vite, sono coloro che votano le missioni di guerra, che
rinchiudono gli immigrati nei CPT, che licenziano i lavoratori “improduttivi” e
tagliano con la mannaia sanità, istruzione, servizi sociali. Come già detto
mille volte, i costi di questa crisi, da loro provocata, li paghiamo noi,
studenti e lavoratori.

Per questi motivi siamo andati a Torino, dove i veri criminali stavano
asserragliati nel castello del Valentino a discutere di sostenibilità dal punto
di vista “neutrale” della scienza, dove per “neutrale” si intende quella finalizzata alla
massimizzazione del profitto. Poco importa se ci si arriva con quattro morti
sul lavoro al giorno.

 

Ciò che accettano è solo l’opposizione pacifica, o pacificata. La
testimonianza è l’unica forma di dissenso praticabile. Peccato che in questa
struttura sociale totalmente militarizzata, dove qualsiasi comportamento
minimamente “deviante” può avere come risultato denunce o arresti, le sole
parole non hanno nessun peso, sono lettera morta. Da questo ragionamento derivano
le occupazioni, i cortei selvaggi, i blocchi. Siamo consapevoli che già nei
prossimi mesi vedremo gli effetti dei tagli che si abbatteranno a raffica sugli
atenei e i frutti delle misure che rendono ancora più precario il lavoro. E i
baroni riuniti a Torino, paladini di flessibilità e libero mercato, tutto
questo lo sanno molto bene, salvo poi tenersi ben stretti i loro privilegi, e
la loro fetta di torta.

 

Alessandro e Domenico sono e saranno parte delle mobilitazioni che si
oppongono e si opporranno alla mercificazione dell’università e della società
in generale, per questo ne chiediamo la liberazione.

 

Alessandro e Domenico liberi subito.

 

 

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Linea di Massima numero di Maggio

La crisi c’è, e si vede. Il crollo degli indici e la perdita di valore del grande capitale, fin’ora rimasti sui giornali e nel portafoglio-titoli di azionisti e speculatori, ora entra nella quotidianità delle persone. Cassa integrazione e disoccupazione portano nelle case della gente la dura realtà di un sistema che ha abusato  delle classi subalterne e delle risorse naturali, ha inventato la ricchezza attraverso la fantasia della finanza creativa, e ora vuole che chi ha sempre subito faccia un ulteriore sforzo, si lasci spremere ancora un po’, in nome del benessere sociale e di un ritorno alla prosperità. A Londra i 20 grandi si sono riuniti per trovare una soluzione per salvare questo modello economico, una soluzione che permetta a chi ha sfruttato di continuare e farlo, e constringa chi ha subito a subire ancora. Capitalism doesn’t work, questo gridavano nell strade della City, per ribadire che è il sistema a creare le sue stesse crisi, non l’avidità di pochi banchieri.
Nel frattempo, a Strasburgo, altri grandi cercavano una soluzione per evitare che chi vuole cambiare esca dai canoni della protesta consentita, mettendo degli ostacoli sulla strada della pace sociale necessaria a far ripartire la grande macchina liberista. Vogliono farsi trovare preparati quando qualcuno vorrà "bussare" alla loro porta chiedendo ciò che gli spetta.
Sempre quei grandi, si riuniranno quest’estate sull’Isola della Maddalena, per quella sfilata chiamata G8, non prima di aver sparso per l’Italia incontri "operativi", su tematiche specifiche. Tra questi incontri, in calendario, c’è anche il "G8 University Summit", a Torino, in cui i rappresentanti degli atenei degli otto paesi provvederanno perchè l’università contribuisca al meglio in questa fase. Come? Ricercando i sistemi migliori perchè la guerra porti pochi costi e tanti guadagni, per esempio. Oppure, ecco il nostro turno, fornendo tutto quell’impianto ideologico-teorico, ben protetto da eventuali attacchi, che giustifcherà ogni porcata decisa dai "capi di stato e di governo", o dai loro ministri.
Così, appare chiaro il ruolo -la cattedra- che occupano i loschi figuri che popolano gli uffici sopra le nostre teste, i dipartimenti (che li popolino in pianta stabile o tra una legislatura e l’altra fa poca differenza), grandi protagonisti dell’impianto ideologico di cui sopra.
 
SOLO SCARDINANDO QUESTO SISTEMA potremo porre fine e questo circuito che parte lontano ma arriva molto, molto vicino a noi.
Per questo ci siamo impegnati quest’autunno contro i nuovi decreti e le nuove leggi che tagliano i fondi a un’università già volutamente martoriata, e sempre per questo  il 17, 18 e 19 Maggio saremo a Torino, con altri studenti da tutta Italia, per far leva su uno dei cardini perchè il sistema inizi a traballare.[…]

Il volantone è scaricabile anche in formato .pdf cliccando sul link

Maggio09_pg1maggio09_pg2 

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Da Scienze Politiche verso il summit G8 (17-19 Maggio) sull’università a Torino

Torino University SummitIl 17, 18 e 19 maggio si svolgerà a
Torino il G8 dell’università: rettori e presidi degli atenei di molti
stati del mondo si troveranno per discutere di sostenibilità e
sviluppo. L’incontro, che precederà di qualche mese il G8 dei capi di
stato, si propone di produrre soluzioni “realistiche” e “praticabili”
ai problemi del pianeta, da presentare poi al Summit dell’Aquila.
Presupposto fondamentale a tutto questo sarà il carattere “neutrale ed
oggettivo” della scienza e dei saperi prodotti tra le mura delle nostre
facoltà, che permetterebbe all’incontro di produrre soluzioni “concrete
ed efficaci”.

 

 

Due considerazioni:

– Innanzitutto ciò che sta a cuore
a presidi e rettori (così come alla CRUI) certo non è il futuro del
pianeta. I vertici e gli incontri che a livello europeo si sono svolti
in questi anni, tra coloro che dirigono le università, sono serviti a
modellare le facoltà in direzione del mercato, a demolire gli spazi di
crescita culturale degli studenti, a favorire l’ingresso delle aziende
negli atenei. Convenzione e consiglio di Lisbona (1997 e 2000),
convegno di Bologna (1999), sono esempi della convergenza esistente tra
le riforme universitarie e l’esigenza delle imprese di massimizzare i
profitti. In barba a ecologismo e sostenibilità …

– Durante le mobilitazioni di questo
autunno, partite dai tagli del decreto 133, abbiamo ampiamente
dimostrato l’assoluta dipendenza dei saperi rispetto alle esigenze del
mercato. I meccanismi di funzionamento delle varie baronie
universitarie ci dimostrano proprio questo: si studia ciò che è
funzionale al profitto (e non ciò che serve all’”umanità” …) proprio
come in una fabbrica, o in un call center, si produce ciò che fa
profitto. I nostri cari baroni sono proprio al centro di questo
meccanismo, che collega lavoro e formazione, nel quale lo studente
viene adeguatamente “preparato” ai lavori precari e sottopagati che lo
aspettano.

Le disposizioni contenute nella 133, e
nella finanziaria, stanno producendo i loro effetti sia nel mondo del
lavoro, sia nelle università. Lavoratori del pubblico e del privato già
stanno sperimentando l’ulteriore precarizzazione introdotta da queste
norme. Dal prossimo anno gli effetti pratici dei tagli si faranno
sentire pure nei nostri atenei.

L’Onda di questo autunno è stata la teoria, ora ci aspetta la pratica.

Lunedì 11-05 h.12:30 Aula 13

Testimonianze dal contro-summit
europeo degli universitari conclusasi il 30 Aprile a Louvain in Belgio.
Assemblea –dibattito con Giulio Palermo, ricercatore presso
l’università di Brescia. Contributi da studenti universitari di Torino.

Mercoledì 13-05 dalle h.18

Aperitivo in facoltà e Dj Set con
Xtreme Entertaintment ft. Gamba the Lenk, Beppe Rebel e Junior Sprea.
Ultime news da Torino con intervento degli studenti torinesi.

scienzepolitichemilano@inventati.org


							
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Contro la loro Crisi… La nostra lotta!

g8 Crack, recessione, mercati fuori controllo, tagli, licenziamenti: sono questi i termini che ritornano ossessivamente dai giornali e dalle televisioni, frammenti di un discorso sulla crisi. Chi pretende di governare, chi per anni ha sostenuto di avere gli strumenti teorici e pratici per garantire il “Nuovo Ordine Mondiale” del capitalismo post 1989, adesso brancola nel buio, e scarica sulle classi subalterne i costi spaventosi di un modo di produzione basato su sfruttamento, devastazione, oppressione. In risposta a questa economia solo apparentemente “impazzita”, vediamo sorgere in tutto il mondo movimenti sociali che chiedono a gran voce un cambiamento radicale.

London Calling. Il 1° aprile i “20 Grandi della Terra” si sono riuniti nella capitale inglese per pianificare, nonostante i loro contrastanti interessi, una strategia comune per sostenere le banche, rimettere liquidità in circolo, tentare di sollevare PIL in calo ovunque. Ma a riunirsi nella City c’è anche un nuovo movimento, che sfonda i cordoni della polizia, assalta le banca simbolo del disastro, stende un enorme striscione con su scritto: SMASH CAPITALISM! Ecco “la chiamata” che viene da Londra. La polizia, chiaramente, non sta a guardare: carica, accerchia, rinchiude i manifestanti. E ne pesta uno, causandone la morte, nel vergognoso silenzio dei media, nella disinformazione provocata ad arte. 

No NATO? No party! Il giorno dopo iniziano le proteste contro le celebrazioni dei 60 anni della NATO. Un primo corteo non autorizzato sfila per la città: 2000 compagni, determinati a contestare l’Alleanza Atlantica che da decenni semina morte e distruzione in tutto il mondo, vengono caricati: più di 300 fermi nel giro di poche ore. Il giorno dopo 30.000 persone scendono in piazza, attaccano obbiettivi simbolici, rendono difficile lo svolgimento del Summit… La polizia franco-tedesca continua a sparare proiettili di gomma e gas lacrimogeni, mentre la sfilata di politici, economisti, generali, condita dai flash e dal plauso dei media, va avanti… ma ormai la festa è rovinata.

Tifiamo rivolta. Le recenti mobilitazioni hanno dunque dimostrato che si va formando una vasta, seppur ancora molto eterogenea, opposizione dal basso; una massa priva di esperienza politica, in marcia dalle banlieue europee, spesso estranea al sindacato o a gruppi organizzati, e ciononostante interna al meccanismo della produzione. Frange proletarizzate, proletarie o sottoproletarie che non esitano a ricorrere a forme decise di protesta, e che in questi vertici internazionali non identificano solo degli “appuntamenti” per ostentare un dissenso ideologico alle politiche neoliberiste, ma un’occasione per far irrompere sulla scena il loro malcontento e nuove forme di autorganizzazione. Un malcontento che potrebbe presto radicarsi sui luoghi di lavoro e nei quartieri.

Io non ho paura. Che abbiano contestato la gestione economica della crisi (con le conseguenti politiche di attacco ai salari e diritti, di compressione delle spese sociali, di mercificazione di ogni spazio pubblico, di ulteriore concentrazione monopolistica e di distruzione dell’ambiente…) o quella militare (con l’investimento bellico, l’apertura forzata di nuovi mercati, il controllo geopolitico e l’accesso alle risorse energetiche, l’attacco ai movimenti di liberazione nazionale…), Londra e Strasburgo non sono mai state così vicine: la rabbia che hanno espresso è frutto dello stesso sistema avvelenato. E i nostri nemici lo sanno bene: per questo la “controrivoluzione preventiva” ha lasciato dietro di sé un morto, centinaia di feriti, centinaia di arresti. Se la repressione è un dispositivo sempre attivo, che ha un carattere strategico e permanente, il ricorso all’emergenza ed alla sospensione dello “Stato di Diritto” non a caso è sempre più frequente, indice di una paura e incapacità di governare – in termini di consenso e ordine pubblico – i contraccolpi della crisi. Ci vogliono fare paura, ci vogliono dividere, prima che ci venga la malsana idea che si può osare combattere e osare vincere. 

Chi è dentro e dentro… e chi è fuori? Ciò che da vent’anni è in atto è una gigantesca ridefinizione degli spazi di inclusione ed esclusione, che si riverbera nei diversi ambiti della vita sociale. Se infatti legittimità politica è concessa solo a chi accetta le “regole del mercato” (e dunque chiunque lotti per la trasformazione dell’esistente deve essere processato o deriso), tante altre forme di riconoscimento, in termini di diritti e di visibilità, vengono direttamente negate. Si pensi ai milioni di migranti in fuga dalle loro terre per la mera sopravvivenza: a loro è negato tutto, anche la compassione per le “tragedie del mare”… che non fanno notizia. Anche qui siamo di fronte ad una “delimitazione del campo” che è funzionale agli interessi economici della borghesia internazionale: attraverso severi regolamenti, quote di accesso, espulsioni, si tratta di rendere i migranti ricattabili e dunque più sfruttabili ancora.
Le forze dell’ordine e gli eserciti lavorano assieme per difendere il fronte esterno e mantenere “ordinato” e “pulito” quello interno (si pensi alla missione Frontex, che prevede il pattugliamento dei confini UE, o ai progetti di militarizzazione urbana portati avanti proprio dalla NATO). È così che nelle nostre metropoli i meccanismi di repressione, controllo e disciplinamento si generalizzano: l’obbiettivo è scomporre la classe, lasciare ognuno a sé stesso. Dal punto di vista architettonico ed urbanistico si frammentano i luoghi di incontro: le fabbriche si segmentano sul territorio e si moltiplicano i reparti-confino dove esiliare gli “irrequieti”, i call center sono disseminati in piccole unità, i campus universitari vengono scientemente pensati per favorire la competitività e impedire eventuali occupazioni ed espressioni di dissenso, mentre badge magnetici e accessi personali alle reti digitali rendono tutti immediatamente rintracciabili). Si generalizza ovunque l’uso di telecamere e servizi di vigilanza privata, l’esercito presenzia le città. Soffiando sulla presunta minaccia “terrorista”, insistendo sulla necessità della “sicurezza”, si stimolano pratiche di denuncia e repressione dal basso. “Dentro” la fortezza Europa chi disturba deve essere fatto “fuori”: in Grecia, in Catalogna, nei Paesi Baschi, dall’Est Europa fin nel cuore di Parigi.

Vogliamo i colonnelli. In Italia questa strategia complessiva si declina in una deriva autoritaria che non è il semplice prodotto di una serie di soluzioni volta per volta, ma il frutto di un’azione organica. Il governo, i padroni, i loro apparati ideologici e mass mediatici, tentano di anticipare i possibili conflitti: nel breve periodo, la crisi deve essere gestita nell’ottica di una limitazione del danno (è impensabile infatti che non vi siano conflitti), vincendo però sul medio e lungo termine, sul progetto politico complessivo, impedendo una significativa unione delle lotte, una loro crescita qualitativa. I passaggi di questa strategia sono ormai chiari: richiesta di maggiori poteri, minacce agli organi di stampa, denunce e processi, linciaggi (mediatici e non) a fronte di movimenti praticamente inermi, incentivi espliciti a quelle forze che compiono una repressione dal basso (ronde padane e bande fasciste).
Nello specifico del confronto capitale/lavoro è stato varato un provvedimento antisciopero che non solo impedisce il conflitto in un settore strategico come i trasporti, ma penalizza fortemente ogni manifestazione che interrompa la mobilità (blocchi stradali, ferroviari etc.) e si prepara a destrutturare la rappresentatività sindacale per distruggere il crescente sindacalismo di base. Gli stessi che fino ad oggi hanno lavorato alla divisione dei sindacati confederali per imporre la modifica della contrattazione collettiva, marginalizzando la CGIL e firmando accordi separati, vogliono ora recuperarla al suo ruolo di garante del controllo sindacale. Cosa a cui peraltro la CGIL si offre: e infatti davanti a due milioni di persone scese in piazza contro la crisi apre a destra verso il governo e la CISL-UIL, fra i fischi della base. Ma ovunque sorgono inedite forme di autorganizzazione sul posto di lavoro, che esprimono tutta le potenzialità del conflitto sociale, dalla lotta di Origgio (Varese) a quella dei precari Atesia (Roma), da quella degli operai della INNSE (Milano) alla vittoriosa battaglia dei lavoratori della Omnia (Milano).
Se si generalizza il valore di queste esperienze, e lo si collega con le valutazioni UE circa il fatto che l’Italia rappresenta uno degli anelli deboli della catena imperialista europea e con il fatto che gli effetti della crisi si sconteranno solo nei mesi a venire, c’è da sperare (e da lavorare) per una ripresa significativa del conflitto sociale. Ripresa da cui Scuola e Università non saranno immuni, visto che i tagli della “riforma” Tremonti-Gelmini sono sempre via via più effettivi, e programmati fino al 2013.

Un passo indietro, due in avanti. È in questo scenario che a Palazzo Chigi viene presentato ufficialmente il G8 delle Università, dedicato al tema della sostenibilità. Si tratta di un incontro fondamentale, che vedrà riuniti, al Politecnico di Torino, fra il 17 e il 19 maggio, i ministri dell’Istruzione e della Ricerca. Una delle tappe di questo G8 italiano “a geometria variabile”, che vede gli incontri tecnici (e decisivi) spandersi su tutto il territorio nazionale (a Treviso, Siracusa, Palermo, Lecce…), per rendere ancora più difficile una significativa contestazione dell’incontro, già confinato sulla blindatissima Maddalena.
Anche per noi questi momenti rappresentano la possibilità concreta di porre i temi della conflittualità e dell’autorganizzazione sociale all’ordine del giorno, sono occasioni in cui inserire, nell’ambito di una visibilità mediatica accentuata, le lotte volutamente confinate nel perimetro ristretto delle fabbriche, dei call center o delle facoltà. La momentanea battuta d’arresto del movimento studentesco, il passo indietro di chi continua a guardare alla CGIL (e dietro di lei al PD) per veicolare la protesta, ci impone di rilanciare. Come a Londra e a Strasburgo, roviniamogli la festa!
La crisi sta rapidamente producendo cambiamenti nei comportamenti sociali: sta a noi far sì che questa rabbia non sia incanalata nella guerra tra poveri, nel razzismo, nella caccia al “diverso”, ma produca una conflittualità sociale più avanzata. Per rompere la blindatura che il Governo ci ha costruito intorno, serve unire le lotte proprio al livello che queste stesse lotte indicano, e far esplodere le contraddizioni. Gli ultimi mesi ci fanno capire che gli scenari sono mobili, che il momento storico è unico, che i giochi interimperialisti sono aperti. Noi dobbiamo far sì che i giochi siano aperti fino in fondo, che si rimetta in questione tutto il sistema. Se aumenta la crisi, alziamo il livello dello scontro: apriamo un ciclo di lotte sociali!

RED-NET – rete delle realtà studentesche autorganizzate
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Da Napoli: Comunicato sul presidio del 26/03/09, sui neofascisti e sullo sparo della polizia

 percorso del proiettile.

Oggi 26 marzo 2009 si è svolta la giornata antifascista convocata ed organizzata
dagli studenti napoletani e altre realtà di moviment
o. Fin dal mattino abbiamo
organizzato mostre, volantinaggi e interruzioni dei corsi per denunciare il
tentativo da parte di organizzazioni neofasciste di infiltrarsi e prendere
spazio e agibilità politica nelle nostre facoltà. La forte partecipazione alle
mobilitazioni di questi giorni e al presidio di stamattina ha permesso di
tenere lontano la feccia neofascista che anche in questa occasione si è presentata
armata con l’intento di impedire lo svolgimento delle iniziative in programma
nella giornata. Infatti l’episodio di oggi è solo l’ultima di una serie di
azioni di lotta.

La prima di queste ha avuto luogo mercoledì 18 marzo, quando i neofascisti di
Blocco Studentesco (organizzazione neofascista legata a Casapound) armati di
coltelli e spranghe, mentre volantinavano per l’iniziativa (autorizzata dal
preside di Giurisprudenza) che si sarebbe dovuta tenere il 26 marzo, hanno
tentato di impedire l’ingresso degli studenti nella facoltà di giurisprudenza.

Il giorno seguente, nello stesso luogo, si è tenuto un presidio durante il quale
attraverso un volantinaggio sono stati denunciati i fatti del giorno precedente.

 

Il 24 marzo si è tenuta un’assemblea antifascista alla quale hanno partecipato
centinaia di studenti e varie realtà di movimento.

Grazie a tutte queste pressioni, l’autorizzazione è stata revocata, ma abbiamo
sentito comunque l’esigenza di rimarcare ,attraverso la giornata di oggi, come
l’antifascismo fa e farà sempre parte della nostra lotta contro le politiche
repressive di questo e qualsiasi governo. La giornata si è conclusa con un
corteo, partito da Via Marina, fino a palazzo Giusso dove si è tenuta
un’assemblea.

In concomitanza con il nostro presidio, ad Acerra si svolgeva la protesta
contro l’apertura dell’inceneritore e molti degli studenti che erano lì presenti  stavano tornando verso l’Università, mentre
altri universitari, preoccupati, gli andavano incontro. Nella stazione di
piazza Garibaldi hanno avuto la brutta sorpresa di incontrare di nuovo gruppi
di squadristi armati di cinte. Probabilmente non erano napoletani o avevano
saputo in piazza che stavano tornando studenti col treno. Ci sono stati perciò
momenti di tensione. Ma la cosa più grave è successa fuori la stazione. Lì
infatti è arrivata una macchina della polizia. Era una situazione in cui non
stava accadendo niente, c’erano solo studenti del movimento fuori la stazione.
I poliziotti sono scesi dalla macchina e hanno immediatamente esploso un colpo di
pistola (e non con il braccio teso in alto)!! E’ stato un gesto inquietante, immotivato,
irresponsabile e pericoloso. Sul fatto che non ci fosse nessun presupposto per
quel gesto in quel momento ci sono decine di testimonianze di studenti e studentesse
che erano lì e di cittadini che erano nella piazza. A questo gesto sono seguiti
naturalmente nuovi momenti di tensione. *Ma non è affatto vero, come già
leggiamo su una serie di siti, che lo sparo sia stato conseguenza di
un’aggressione alla  volante o di una rissa
in corso in quel momento! Ripetiamo, ci sono decine di testimoni oculari.*
Questo episodio è ulteriore riprova del clima di repressione che viviamo
quotidianamente.

Antifasciste e antifascisti di Napoli

 

 

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18 Marzo a Milano: La diffusione dello sciopero nella metropoli. Istruzioni d’uso e controindicazioni

 

sciopero metropolitano 18-03-09Oggi
18 marzo si è svolta la manifestazione indetta dalla Cgil riguardante tutti i
settori della conoscenza. A Milano un
elemento positivo della partecipazione
degli universitari è stata la scelta, a fine corteo, di riportare i contenuti e
i motivi dello sciopero alle migliaia di persone che quotidianamente viaggiano
in metropolitana.

Lo scopo
dell’iniziativa era quello di uscire dai confini stretti che vedono lo sciopero
come un evento circoscritto a un determinato luogo della metropoli e che
riguarda soltanto chi vi partecipa direttamente. Muovendosi da Duomo a Loreto,
da Pta Genova a Cadorna fino a Pta Garibaldi, circa settanta studenti da
diverse facoltà hanno letto vari comunicati riguardanti i tagli all’università,
le limitazioni al diritto di sciopero, e la generale situazione economica di
crisi che colpisce gli
studenti così come i lavoratori ma
nello specifico le fasce più deboli. Per
ribadire la totale solidarietà ai
lavoratori e soprattutto a quelli dell’Atm
(i primi ad essere colpiti dal decreto-legge
sullo sciopero appena emanato) lo spezzone
si è diretto successivamente, dopo lo speakeraggio in stazione Garibaldi, verso
il deposito Atm di via Messina.

Si
è chiacchierato tranquillamente con i lavoratori, spiegando i motivi della
nostra visita e raccontandoci a vicenda le nostre condizioni di soggetti
colpiti dalla crisi. Di fronte ad un semplice volantinaggio ed un incontro tra
lavoratori e manifestanti, l’uscita del deposito è stata bloccata da un cordone
di polizia in assetto anti-sommossa. Dopo qualche chiacchiera con i lavoratori,
il gruppo di studenti, accompagnati da alcuni lavoratori, si è diretto verso
l’altra uscita del deposito, in via Monviso.

Non
appena usciti dal deposito gli studenti sono stati circondati da celere e
carabinieri già in assetto antisommossa, con la richiesta da parte della digos
di identificare tutti i presenti. L’azione pressoché inspiegabile, dal momento
che era chiaro a tutti che la giornata era finita con quel volantinaggio, è durata
per circa un’ora e mezza.

Mentre
rimanevamo fermi gli agenti gridavano ai passanti o alla gente che si
affacciava dai balconi di andare via o di chiudersi in casa, e non sono mancanti
i soliti insulti gratuiti. L’intento, da parte loro, era la speranza di poter
ripetere ciò che oramai è diventato un copione nazionale, e di cui i fatti di
Bergamo sono stati solo un recente esempio; ma che poche ore prima si era già
verificato a Roma con le cariche degli studenti alla Sapienza. A speranza
fallita il l’accerchiamento si è sciolto lasciando defluire gli studenti.

Ciò
che abbiamo percepito di tutta questa vicenda è stata l’irritazione delle forze dell’ordine di fronte ad
un’iniziativa che, ponendosi l’obbiettivo di intessere relazioni con i
lavoratori, è stata portata avanti senza alcuna concertazione.
Se a Roma è
appena entrato in vigore un protocollo che limita le manifestazioni pubbliche,
a Milano con o senza legge la libertà di manifestazione viene di fatto
limitata.

In
tempi di crisi un unico elemento costituisce il punto di forza delle lotte che ci aspettano: ovvero l’unione di
tutti quei soggetti su cui quotidianamente la classe dirigente scarica i costi
di questa crisi. Tra le preoccupazioni dei nostri governanti, vi è la
possibilità che l’antagonismo sociale
espresso da ampie porzioni delle classi subalterne, costituisca il reale
tallone d’Achille del sistema capitalista
.

Assemblea Studenti Scienze Politiche

scarica il testo in .pdf 

 

 

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Se dal letame nascono i fiori dalle fogne escono solo i fascisti – oggi a scienze politiche

Questa mattina il cortile della facoltà di scienze politiche è stato
teatro, come già successo nelle ultime settimane, della presenza
provocatrice da parte di una ventina di giovani Crumiri di Azione
Universitaria, emanazione di Alleanza Nazionale.
Si sono presentati con parrucche in testa, con fischietti, vestiti da
pagliacci..(come se avessero bisogno di travestirsi per sembrare tali!)
e di bastoni (e chi sarebbero i violenti?!?) coperti da tricolori,
inscenando una parata carnavalesca senza senso all’interno del cortile
della facoltà.
Anche oggi, come ogni qual volta si siano presentati, non hanno
ricevuto nessuna legittimità da parte degli studenti che anzi si sono
prontamente attivati per far smettere questo pietoso teatrino.
Spontaneamente numerosi studenti uscendo dalle lezioni hanno bloccato
fisicamente il passaggio nel cortile di questa simil-ridicola-parata
“accompagnando” queste losche figure (che all’università ci mettono
piede per innescare provocazioni o elemosinare voti nel periodo delle
elezioni studentesche) verso l’uscita della facoltà.

Tutto questo è avvenuto davanti agli occhi impotenti del preside, che investito del suo ruolo di detentore dell’ordine democratico
universitario e garante della libera espressione di tutti gli studenti,
non ha potuto ignorare ciò che la maggior parte degli studenti incitava
a gran voce: ovvero di non apprezzare le posizioni di chi dentro la
facoltà propaganda l’utilità dei tagli nella pubblica istruzione, di
chi nell’università si maschera da sincero democratico (redento dai
mali dei propri antenati) salvo poi farsi sfuggire qualche
“impercettibile” comportamento di intolleranza e di apologia del
fascismo.
A differenza delle settimane precedenti, e vista la massiccia
partecipazione degli studenti, la celere e Digos hanno deciso di
rimanere fuori dai cancelli della facoltà, pronti ad innescare il
proprio teatrino, quello repressivo, di cui le cariche all’ interno
dell’università di Torino sono solo un recente esempio. “Coincidenza di
presenze” che si ripete puntualmente e che sottolinea il solo ed unico
carattere provocatore dell’apparizione di questi individui.
Oggi infatti nel cortile della facoltà si è svolta una assemblea tra
studenti e lavoratori Atm e tecnico amministrativi della Statale:
l’assemblea si è svolta in seguito per discutere la partecipazione ed i
contenuti da portare all’interno dello sciopero del settore della
conoscenza che si terrà domani mattina.

Rilanciamo l’appuntamento del 18/03 alle 8.30 davanti ai cancelli
della facoltà di Scienze politiche per partecipare al corteo che
partirà da Porta venezia dove ci uniremo in uno spezzoneuniversitario
con gli altri studenti delle università di Milano.

LA CRISI LA PAGHINO BARONI, E BANCHIERI NON GLI STUDENTI E I LAVORATORI.

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