SELEZIONE ALL’INGRESSO: DAL TEC AL NUMERO CHIUSO

Dall’anno accademico 2008/2009 a scienze politiche è presente il TEC (test delle conoscenze in ingresso), un test di valutazione delle competenza acquisite dallo studente alle scuole superiori. L’università si premura di rassicurarci: “Non si tratta di uno sbarramento, ma di un servizio offerto agli studenti per testare le loro capacità e attitudini”. Dall’anno 2015/2016 però la situazione cambia. L’ ”innocuo” test attitudinale acquista una forma più rigida e il suo superamento diventa vincolante per l’iscrizione al secondo anno. Ed oggi la grande rivelazione, pur senza annunci in pompa magna (e chissà come mai) la facoltà di scienze politiche ha deliberato l’introduzione del test d’ingresso a numero chiuso a partire dall’anno 2016/2017 per i corsi di GLO, SIE e SPO. E tanti saluti al test che “non è uno sbarramento” ma anzi “un servizio agli studenti”. E’ evidente innanzitutto che tale proposito era presente sin dall’introduzione del TEC, che è servito da cavallo di Troia per preparare il terreno a Scienze Politiche.
Il test d’ingresso rappresenta in prima istanza la “soluzione” dell’università al “sovraffollamento” degli studenti e ancor più nello specifico alla grande disparità tra numero di immatricolati e numero di laureati. Il dato oggettivo è infatti che il 50% degli immatricolati in statale non si laurea e abbandona gli studi. Tale dato costituisce motivo dei bacchettamenti che l’istruzione italiana in generale riceve dall’Unione Europea e soprattutto fa precipitare la Statale nelle classifiche dell’ANVUR, l’ente che stabilisce i requisiti in base ai quali stila la graduatoria per erogare fondi alle università: più soldi alle università di “serie A”, quelle in cima alla graduatoria, meno a quelle di “serie B”. Questi sono esattamente i motivi per cui il baronato di scienze politiche (la cricca di professori più influenti e meglio retribuiti), che si vede togliere i fondi, opta per il test d’ingresso. E’ evidente che il motivo che induce gran parte degli studenti ad abbandonare gli studi universitari non è la mancanza di impegno, ma gli ostacoli economici posti dal sistema dell’istruzione.
Oltre alle sempre più alte tasse d’iscrizione, gli studenti devono fronteggiare le spese per libri, trasporti, alloggi, mense, a fronte di un continuo taglio delle borse di studio (ridotte del 92,5% dal 2009). Invece di eliminare tali ostacoli strutturali, i professori di Scienze politiche preferiscono eliminare gli studenti restringendo le maglie d’accesso ai corsi di studio più frequentati. La giustificazione che viene addotta per l’ennesima volta è la meritocrazia. Ci dicono che “ci sono pochi fondi” e che a goderne devono essere solo “i migliori”, scremati in primis alle scuole superiori, in base alla fatidica scelta tra liceo e scuola professionale, poi definitivamente grazie ad un unico test di ingresso per valutare le conoscenze acquisite. La realtà è: eliminando un consistente numero di studenti, secondo i loro piani quelli più inclini ad abbandonare, i baroni si troveranno con più soldi da destinare ad un minor numero di studenti e che torneranno quindi in maggiore quantità nelle loro tasche. I soldi saranno quindi investiti sotto forma di fondi per le ricerche, di pubblicazioni e di stipendi miseri per assistenti e ricercatori sotto il loro controllo.

Riteniamo che l’introduzione del test d’ingresso a numero chiuso sia una limitazione nei confronti di tutti gli studenti e un attacco diretto a chi non ha i mezzi economici per mettere in campo una risposta adeguata. Si tratta insomma dell’ennesimo passo che va verso la direzione dell’eliminazione del diritto allo studio, per consacrare l’università ad un privilegio per pochi.

Assemblea Scienze Politiche
(L’assemblea si ritrova il martedì e il giovedì alle 14.00 presso lo Spazio Occupato al piano interrato)
spomilano.noblogs.org
scienzepolitichemilano@Inventati.org

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