L’ultimo tassello della trasformazione degli atenei nel parcogiochi delle aziende (sempre con i soldi pubblici ovviamente) è slittato.
E quanto più grande è il disordine sotto il cielo, numerose sono le stranezze che possono accadere. Come le improbabili alleanze a geometria variabile (ammucchiate) che si vengono a creare. Ci riferiamo ai vari interessi baronali e alle loro appendici studentesche. Essi hanno fatto la loro apparizione in varie salse (settimana scorsa ci han provato i mercenari della Gelmini, altrimenti noti come Azione Universitaria).
Questa settimana è il turno della variante ‘sinistra’ della longa manus baronale. Per non parlare del ritorno in grande stile e in pool position del consiglio di Facoltà di Scienze Politiche, che giovedì 21 si ‘aprirà’ agli studenti.
L’università è in una fase di emergenza ormai da tempi immemori. E’ quantomeno ironico che coloro che hanno governato questo declino (tenendo per sé i privilegi e scaricando i costi sugli studenti e lavoratori), si candidino ora a profeti della crisi per spiegarci cosa è andato storto.
Negli ultimi 20 anni governi di centrodx e centrosx si sono sempre preoccupati di soddisfare i diktat di Confindustria e gli interessi dei privati in materia di istruzione. Ci siamo trovati con i corsi di laurea 3+2, tasse aumentate, le strutture affollate e spesso datate.L’esigenza reale: subordinare tutti i cicli di studio ai bisogni del mercato di lavoro attraverso la formula “flessibilità formativa=precarietà lavorativa”. L’università è diventata sempre più costosa e offre sempre meno da punto di vista conoscitivo.
In tutto ciò i baroni hanno sempre un potere smisurato -quelli sì che sono fuori controllo: fungono da cinghia di trasmissione tra il mercato del lavoro e il mondo della formazione.
E le rappresentanze studentesche sono state complici del meccanismo di distruzione sistematica dell’università: in che modo? Fingendo il gioco delle parti in nome di un principio democratico che parla sempre più la lingua del leone nello stato di natura. Invece di lottare con chi si è posto il problema delle riforme in maniera diretta hanno sempre preferito fungere da ammortizzatori arrugginiti di un conflitto sociale che seppur lentamente, è destinato a travolgerli.
Per questa serie di ragioni riteniamo altamente ipocrita cercare risposte negli organi di governo accademico che hanno fin ora così diligentemente affossato il sistema universitario.
Le vere risposte risiedono nelle strategie di attacco e resistenza che i soggetti coinvolti (studenti così come i lavoratori) assumono.
La crisi dell’università è passata tra le mani di tutti quei soggetti istituzionali che hanno architettato, messo in pratica, e più o meno apertamente legittimato la distruzione del sistema universitario in quanto luogo di crescita critica e cognitiva. La soluzione della crisi non passa attraverso la parola dei nostri aguzzini, nè tantomeno quella dei loro scagnozzi.
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