Appelli ridotti: un’altra tappa dell’università riformata

Un posto
nell’                                       
Quattro posti

università pubblica             nell’università riformata
 

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Nell’ultimo consiglio di facoltà è stata approvata in via “sperimentale” (cioè definitiva) per l’anno accademico 2010/11, la nuova sessione degli appelli che, di fatto ridotti, si svolgeranno solo nei giorni di pausa tra un trimestre e l’altro, ad eccezione di alcuni periodi limitati. "Durante il mese di gennaio e nelle ultime due settimane di ogni trimestre è possibile fissare esami nella fascia oraria serale, dopo le 18 e/o il sabato mattina". Al momento il secondo trimestre resta escluso dal provvedimento.


Informazione a riguardo è già stata fatta,  ma a noi preme mettere in luce un concetto centrale che rischia di venir oscurato dall’ovvio interesse che ogni singolo studente ha nell’opporsi ad una sessione d’appelli meno agevole. Non si tratta di drizzare le orecchie e raccogliere firme, solo quando i baroni allungano le mani sul nostro orticello privato, già colpito da misure simili negli anni precedenti.

Uno dei motivi che impongono questa scelta è l’attuale situazione di carenza di aule e spazi: a causa dei tagli dei fondi del governo, l’università Statale non ha soldi e chiuderà il suo bilancio con un deficit di 17 milioni di euro quest’anno. Il nostro invito è quello di riflettere sulla direzione delle politiche universitarie dell’ultimo decennio e oltre.

Ministri dell’istruzione di concerto con le autorità accademiche da venti anni a questa parte hanno prodotto uno stravolgimento dell’ordinamento universitario: spezzettamento del ciclo di studi in 3+2 anziché in 4 anni, l’introduzione dei crediti e degli stages gratuiti presso aziende, la divisione degli esami in moduli schizofrenici, sono i frutti marci che abbiamo raccolto. Di anno in anno i nostri Signori si sono resi conto che il mostro da loro creato diventava ingestibile da un punto di vista materiale, e da qui la polemica contro gli sprechi, contro i fannulloni, contro le università del sud spesso poco produttive, ecc. ecc. Adesso siamo arrivati ad un  problema quantitativo: lo spazio! In tempi di crisi non sanno più come gestire il mega supermercato che hanno creato e che rischia l’implosione per la crescita esponenziale al suo interno (di cattedre, di corsi, di studenti, di costi, ecc. ecc.,). E allora qual è l’idea brillante? Sacrificare l’autonomia e libertà dello studente, minandone l’accessibilità alle sessioni di esami!

Alcuni “rappresentanti” danno la colpa di questa situazione esclusivamente agli ingordi baroni che non spartiscono con noi le briciole lasciate dai governi di centrodx e centrosx. Invece per noi non si tratta di lottare per le “bricciole”: noi vogliamo l’intero panificio.
Che certi rappresentanti si limitino semplicemente a denunciare lo stato attuale delle strutture e dei fondi è pura ipocrisia dal momento che queste scelte vengono avvallate non solo dalla loro stessa presenza nei consigli di facoltà, quanto dai loro stessi partiti di riferimento in parlamento. Scelte che sistematicamente sottraggono miliardi di euro alla pubblica istruzione e rafforzano in maniera diretta e indiretta il potere baronale. Direttamente, perché i baroni si spartiscono nuove cattedre grazie alla proliferazione di 1000 corsi satellite (che poi svendono sia alle matricole grazie a nomi accattivanti, sia alle aziende come prodotto finito e gratuito). Indirettamente, poiché la tradizionale richiesta dei docenti di ridurre gli appelli (sempre respinta dagli studenti), ora mascherata da una pseudo-motivazione dittatica (frequenza calante durante il corso), può essere finalmente “giustificata” da necessità materiali; mancano soldi e spazi. E’ logico prevedere che otterranno invece l’effetto contrario, la desertificazione totale delle aule a fine trimestre.

Dov’è dunque il tanto millantato ridimensionamento del potere baronale previsto dalla riforma Gelmini?

 
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